I lavoratori che non si sono ancora iscritti ai fondi pensione e hanno mantenuto il Tfr in azienda meritano il massimo rispetto. Al pari di quelli che hanno aderito, si intende. A queste persone viene chiesto di prendere la decisione finanziaria della vita senza che qualcuno (la scuola, per esempio) li abbia mai dotati della consapevolezza necessaria.
Le variabili che entrano in gioco nella pianificazione previdenziale sono molteplici: l'incertezza dei mercati finanziari e la reale capacità dei gestori di domarla, l'indisponibilità dei risparmi per un periodo molto lungo, la possibilità di fruire della contribuzione datoriale e di una tassazione privilegiata; per arrivare al rendimento reale del Tfr, così competitivo in tempi di tassi "normali".
Davanti a questa complessità, i lavoratori sono lasciati per lo più soli. Non stupisce che ad oggi gli aderenti siano cinque milioni (su un totale di 23) e crescano pochissimo.
Purtroppo l'impoverimento al quale vanno incontro molti di quelli che non si dotano di alcuna accumulazione a fini previdenziali avrà conseguenze sociali sconvolgenti. In un'intervista uscita su «Plus24» del 30 gennaio scorso il presidente della Covip Antonio Finocchiaro ha efficacemente usato l'immagine del protagonista di «Umberto D» di Vittorio De Sica: un funzionario ministeriale che in pensione diventa povero, tanto da mettersi a chiedere la carità davanti al Pantheon. Negli Stati Uniti, dove il welfare state è molto meno protettivo che da noi, cresce il numero di 60/70enni che sono diventati poveri dopo essere andati in pensione. E hanno davanti a loro ancora molti anni di vita. Tutt'altro che agiata.
Non si sa come si evolverà l'aspettativa di vita nei prossimi anni. Nel ventesimo secolo si è allungata come mai era successo nella storia dell'uomo, dimostrando tra l'altro che livello delle pensioni e durata (e qualità) della vita non sono variabili indipendenti. E' prevedibile che continui lo sforzo comune per migliorare le condizioni igieniche, di alimentazione e sanitarie. Ma questo processo avrà successo a condizione che gli anziani abbiano abbastanza risorse per potersi nutrire e curare in modo adeguato.
La gravità delle conseguenze della mancata accumulazione mostra che le classiche soluzioni "di libero mercato" applicate alla pianificazione previdenziale sono inefficaci. La finanza comportamentale, di fronte a puzzle come questi, invita a un temperato paternalismo. Come? L'esempio viene dall'Irlanda, Paese che per altro non ha recentemente mostrato grandi virtù finanziarie. Ma proprio la Grande Crisi ha imposto un cambio di marcia alle politiche pensionistiche irlandesi. La settimana scorsa il Governo di Dublino ha presentato una riforma che prevede che tutti i lavoratori al di sopra dei 22 anni che non aderiscono già a un fondo pensione vengano iscritti automaticamente e contribuiscano con il 4% del reddito a proprio carico. Restano liberi di uscire dal piano dopo tre mesi. Se lo fanno, verranno automaticamente re-iscritti ogni due anni. I datori di lavoro hanno l'obbligo di versare un euro per ogni due euro versati dal lavoratore, e lo Stato ci mette un altro euro, pari al risparmio fiscale fissato nell'aliquota del 33%. Si tratta di soluzioni semi-obbligatorie analoghe a quelle già adottate negli Stati Uniti, in Nuova Zelanda e a quella che sarà introdotta nel 2012 nel Regno Unito. Tutti paesi che non possono certo essere accusati di indulgere in politiche dirigistiche.
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